“Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). Gesù ci chiede di essere missionari, noi rispondiamo: Eccoci! Mandaci!
Queste alcune delle parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia di Domenica 28 Luglio 2013 sulla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, esperienza che inaspettatamente ho avuto la possibilità di vivere e che riecheggia in me ogni giorno per la forza del suo messaggio, per la vitalità dirompente che incontri del genere riescono a trasmettere, per tutti quei gesti di fratellanza e solidarietà che ho sperimentato personalmente e che si imprimono nella memoria del cuore per sempre.
Un viaggio che ha scelto me, così l’ho sentito, perché la mia partenza per il Brasile, per tutta una serie di quelle che noi uomini chiamiamo “coincidenze”, mi è stata proposta, e quindi decisa e organizzata, in meno di 15 giorni.
Dalla diocesi di Palermo partiamo in 8, compresi 3 sacerdoti che ci accompagnano lungo il cammino: Don Alessandro Manzone, Don Salvatore Amato e Don Angelo Tomasello. A Messina ci riuniamo con tutti gli altri pellegrini siciliani provenienti dalle altre diocesi, c’è chi arriva da Cefalù, Ragusa, Noto, Comiso, Catania, Pachino…. siamo 26 e inizia il lungo viaggio che, passando per Roma e Londra, ci farà arrivare a Rio. Da lì un’altra ora di pullman per arrivare a Petropolis dove ci attende la comunità della parrocchia di “Nostra Signora di Aparecida” cui noi siciliani siamo stati affidati per la prima delle due settimane missionarie organizzate per la GMG.
Il viaggio dura praticamente due giorni e arriviamo molto stanchi, ma la nostra stanchezza viene immediatamente spazzata via dal calore delle famiglie e dei giovani della Parrocchia che ci accolgono con un entusiasmo e una gioia difficilmente descrivibili. La prima grande rivelazione di questo viaggio sta proprio nell’esperienza di gemellaggio vissuta in questa prima settimana, sta nella generosità di questa gente che ha saputo accogliere dei perfetti sconosciuti come amici, fratelli, figli. Ci hanno aperto le loro case, regalato i loro spazi, offerto tutto ciò che avevano. Ci hanno fatto sentire figli di quelle case e, per tanta generosità, non ci saranno mai grazie sufficienti.
In termini materiali non era gente che avesse molto, le loro case erano piccole, molto diverse da quelle che in genere siamo abituati ad abitare, senza tanti comfort e a volte anche un po’ malmesse (nella mia c’era tanta di quella umidità che ho dormito per una settimana con la testa fasciata per evitare di ammalarmi), eppure avevamo tutti la sensazione tangibile che non mancasse niente, anzi che ci fosse più di quanto avessimo bisogno. Anche la difficoltà nella comunicazione è stato un dono che ci ha permesso di sperimentare come davvero si possa andare al di là delle parole; all’inizio è stata davvero dura perché loro parlavano soltanto portoghese … se già non è facile ritrovarsi in casa di sconosciuti lo è ancora di più se non capisci una parola di quello che dicono …, ma il loro modo di guardarci era così amorevole che ogni barriera è stata automaticamente abbattuta; la volontà e il desiderio di comprenderci e conoscerci hanno avuto la meglio e in brevissimo tempo abbiamo (miracolosamente) imparato a comunicare e a capirci. Ridendo tra noi ci dicevamo che parlavamo “la lingua dell’amore”, e in fondo lo credevamo davvero.
Era un’intera comunità attorno ai pellegrini! Le signore della parrocchia hanno instancabilmente preparato per noi ogni giorno i loro piatti migliori, i dolci più buoni. La tavola, allestita nel salone parrocchiale, era sempre ricca di colori, gusti, odori. Ci hanno coccolato come le persone più care che avessero; i pranzi, le cene e le merende erano sempre una gran festa. Abbiamo vissuto con loro celebrazioni eucaristiche, catechesi, abbiamo visitato la città e trascorso tanti momenti di svago tra canti e danze.
La visita a una comunità di anziani gestita dalla parrocchia è stato uno dei momenti più significativi: siamo andati lì per conoscere questo luogo di accoglienza, per conoscere le persone e portar loro un po’ di allegria (non sono mancati canti, balli e chitarrate) e come al solito quando pensi che sei tu che stai donando qualcosa, il Signore ti ribalta l’esperienza e finisce che sei tu a ricevere molto di più di quello che volevi regalare; abbiamo pregato con loro, sono stati unti con l’olio degli infermi e nella commozione generale ci siamo salutati … il loro sguardo di ringraziamento verso tutti noi è stato un dono d’amore inaspettato che conserviamo gelosamente.
Il passaggio tra la 1°e la 2° settimana è stato segnato dalla catechesi di Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto: “Dare la preferenza a Dio” nella nostra vita, nelle nostra vocazione qualsiasi essa sia, è la frase rimasta nel cuore e che ci ha accompagnato verso Rio. A Rio abbiamo vissuto inizialmente non poche difficoltà. La struttura preposta ad accoglierci era una scuola per nulla attrezzata a contenere 90 persone (il nostro gruppo più altri due gruppi italiani), con tutto lo spirito del pellegrino, che accoglie ciò che la provvidenza gli mette sul cammino, la situazione era veramente molto molto difficile da sostenere e così il Signore ci ha dato la possibilità di sperimentare il detto: “bussate e vi sarà aperto”, e questo è stato un altro dei tanti doni e insegnamenti ricevuti in queste due settimane.
Come veri pellegrini, noi della diocesi di Palermo, ci siamo messi in cammino alla ricerca di un luogo dove poter sostare per quei giorni, abbiamo attraversato mezza città e abbiamo bussato alla porta di un istituto di suore, le “Suore Francescane del Signore”.
Non ci conoscevano né noi conoscevamo loro, se non per il fatto che questa congregazione esiste anche a Palermo. Quante erano le possibilità che ci avrebbero potuto offrire una stanza dove poter dormire? A Rio c’erano tre milioni e mezzo di pellegrini e probabilmente era tutto pieno. Palestre, scuole, istituti: era tutto occupato. Beh … ci hanno aperto, ci hanno ristorato con una bevanda calda, hanno ascoltato le nostre difficoltà e ci hanno offerto ospitalità come fossimo amici, aprendoci le porte del loro stesso istituto! Ci hanno messo a disposizione due grandi stanze (dandoci pure dei materassi su cui poter poggiare il sacco a pelo), i servizi e addirittura la cucina dove ogni mattina ci facevano trovare un’abbondantissima colazione con cibo di ogni genere. Tutto ciò che era loro era inaspettatamente diventato nostro, ci hanno persino dato le chiavi. Eravamo andati alla ricerca di un rifugio e avevamo trovato una reggia. Non potevamo crederci! Anche qui accolti come fratelli!
Suor Priscilla, la Madre Superiora, per la quale mai abbastanza saranno i ringraziamenti e le preghiere, è diventata una compagna di viaggio, un’amica, una guida; quando ci siamo salutati non ci sono state parole sufficienti per ringraziarla della sua generosità, e lei, con la sua saggezza espressa in modo semplice come solo i grandi sanno fare, ci ha detto che si era solo limitata ad aprire e ad accogliere quelli che ha creduto essere pellegrini, ma che eravamo stati noi ad aver fiducia che qualcuno ci avrebbe aperto, eravamo stati noi a bussare. Anche qui il Signore ha ribaltato l’esperienza.
Giri turistici, paesaggi e panorami mozzafiato hanno fatto da cornice alle catechesi in attesa dell’arrivo di Papa Francesco. La spiaggia di Copacabana è stata la sede di tutti gli eventi. Difficile raccontare le emozioni e le sensazioni di quel luogo che, già splendido di suo, era diventato scenario dell’umanità tutta, contenitore di pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo. Da un lato l’immensità dell’oceano con le sue onde, dall’altro i grattacieli, e in mezzo NOI! Una spiaggia immensa e lunghissima gremita di persone, giovani e meno giovani, uno spettacolo di colori, parole e suoni.
Giorni di danze, di canzoni, ma anche di silenzi attenti e di preghiere.
Indimenticabile il momento di silenzio richiesto dal Papa durante la veglia del Sabato: tre milioni e mezzo di persone che a un certo punto si raccolgono tutte in ascolto. Un silenzio profondo. Non si sentiva nulla se non il mare. Esperienze di questo genere le dovrebbero vivere tutti, giovani e non. Occasioni in cui sperimenti il senso della fatica, del cammino, del non perdere di vista il compagno accanto a te, sperimenti che le cose essenziali da avere con te sono poche e che meno roba inutile ti carichi addosso più leggero e spedito sarà il tuo cammino.
Per raggiungere la spiaggia di Copacabana in occasione della veglia abbiamo camminato per circa 10 Km, con lo zaino in spalla, il sacco a pelo, cibo e bevande, tutti in cammino, un fiume di gente che parlava lingue diverse ma che camminava nella stessa direzione. Questa è la GMG. E’ l’incontro di popoli, culture e tradizioni, è l’incontro delle diversità nell’Unità.
E ti ritrovi compagno di chi non hai mai visto, né probabilmente vedrai più, sentendoti parte del suo cammino che è anche il tuo. Riscopri che dormire all’aperto può rimetterti in contatto con la terra e con il cielo, e che svegliarsi su una spiaggia in mezzo alle più svariate nazionalità ci allontana dalla presunzione di sentirci padroni del mondo e migliori di qualcun’altro.
Il Papa quella Domenica mattina ha dato un mandato ai giovani e alla chiesa tutta: “Andate Senza Paura per Servire”! Questa è la sfida, questa è la GMG per la vita quotidiana affinché quell’esperienza così grande non rimanga solo una bella emozione fine a se stessa. Andare e trasmettere l’esperienza dell’incontro con Cristo.
Ritorno nella mia comunità di Sant’Ernesto con la GMG nel cuore, dentro c’è tutto: luoghi, strade, orizzonti, persone, odori, dialoghi, sguardi, sorrisi, lacrime, silenzi, abbracci, rabbia, domande, risate, propositi, promesse, ogni cosa col suo significato e la sua importanza; ritorno in parrocchia con l’entusiasmo e la convinzione che siamo tutti chiamati a servire, nessuno escluso, che siamo tutti capaci di andare e che possiamo farlo senza paura perché, come diceva Papa Francesco, LUI ci precede e ci accompagna sempre.
Questo è il messaggio che porto agli amici della mia parrocchia, luogo in cui ho vissuto gli anni della mia crescita giovanile; io ho avuto la fortuna di far parte di un gruppo giovani nato ai tempi del liceo, un gruppo che è cresciuto dentro attività parrocchiali indimenticabili che, sono sicura, hanno segnato profondamente la vita di ognuno di coloro che ne ha fatto parte. Non importa quanti di noi siano ancora qui e quanti, per ragioni varie, non frequentino più questa parrocchia, perché ovunque saremo alcune immagini, pensieri e dialoghi ci accomuneranno sempre.
Riunioni di gruppo, viaggi, ritiri, la GMG di Parigi, Assisi, e molto altro ancora sono state alcune delle tante tappe formative del mio cammino personale che oggi da “giovane adulta” mi vedono impegnata alla guida del Coro, nel consiglio pastorale, e in altre attività diocesane. Alla mia comunità, dentro la quale ho vissuto anche momenti molto difficili talvolta segnati da allontanamento e delusione, con cui mi sono incontrata e scontrata, posso solo dire grazie per la crescita che mi ha permesso di compiere sempre e comunque.
Nella nostra chiesa di Sant’Ernesto ad oggi manca la presenza di una fascia giovanile consistente, i pochi giovani che sono presenti svolgono vari servizi ma manca un gruppo di persone che cresce assieme, che si confronta, che litiga, che va a ballare e che l’indomani fa insieme un ritiro, che si chiede il perché delle cose, che insieme legge la Parola e che insieme va per servire. Manca ciò che io ho vissuto e che auguro a tutti di vivere, ma sono fiduciosa perché convinta che se andiamo (tutti) e trasmettiamo l’esperienza che ognuno, con le proprie fragilità, ha vissuto e vive, possiamo sempre creare possibilità, spazi nuovi e luoghi di incontro che favoriscano la crescita di generazioni capaci di “dare la preferenza a Dio”.
In una catechesi, in riferimento a Gesù, è stato detto “se una persona ti ama profondamente non ti può ingannare”.
Questo è l’amore che tutti noi siamo chiamati a testimoniare.
Buona evangelizzazione a tutti!
Gabriella Sampognaro